Etica e spiritualità – Lezione 1

Etica e Spiritualità – Lezione 1

Etica e Spiritualità – Lezione 1 (File Pdf)

Introduzione generale agli Studi Islamici

Nell’universo ci sono delle realtà: sono gli enti che esistono nell’universo e gli effetti che vengono a crearsi dall’interagire di questi enti. Le norme islamiche si fondano su queste realtà, infatti, non essendo noi in grado di conoscerle appieno, dobbiamo rivolgerci a una fonte affidabile, ossia la rivelazione divina, la religione (l’affidabilità di questa fonte verrà trattata in altra sede). Questo è un aspetto che differenzia l’Islam da altre scuole etiche e giurisprudenziali dove le norme scaturiscono dalle conoscenze limitate degli esseri umani e dalla loro esperienza.

Gli insegnamenti islamici vengono suddivisi dalla maggior parte dei sapienti cui faremo riferimento in questo corso in:

Aqaid: i principi del credo.

Ahkam: le norme pratiche che regolano la vita personale (gli atti di culto come la preghiera e il digiuno) e sociale degli individui

Akhlaq: tradotto con il termine etica o morale, è la scienza che tratta i valori etici, cioè gli attributi e i comportamenti positivi e negativi dell’essere umano in relazione a Dio, a se stesso, agli altri esseri umani e altresì alla natura e all’ambiente. Se l’essere umano mette in pratica questi insegnamenti etici senza tralasciare le norme pratiche, sarà guidato verso la perfezione e la beatitudine terrena ed ultraterrena.

La scienza dell’akhlaq

Akhlaq è il plurale della parola khulq e significa attributo o qualità da cui sorge un determinato tipo di comportamento, deriva dalla stessa radice del termine khalq, laddove khalq indica gli attributi fisici dell’essere umano e khulq quelli della personalità. Quindi parliamo di attributi che generalmente portano una persona a compiere un’azione conforme a quell’attributo, per esempio se un individuo ogni tanto dà l’elemosina ai poveri, diciamo che ha compiuto un atto di carità, ma questo non significa necessariamente che possieda l’attributo di carità, infatti un individuo potrebbe compiere un atto di carità perché spinto da un sentimento momentaneo e non perché possiede questo attributo

La scienza dell’etica tratta gli attributi positivi e come acquisirli e gli attributi negativi e come evitarli; analizza inoltre i comportamenti volontari positivi e come imparare a metterli in pratica e i comportamenti volontari negativi e come abbandonarli.

La scienza dell’etica può essere suddivisa in varie categorie a seconda del criterio di suddivisione che viene stabilito, per esempio in base all’oggetto della relazione, possiamo avere i seguenti temi:

  1. Legame con il Creatore: etica della servitude.
  2. Legame con le creature:
  1. Con se stessi: etica personale.
  2. Con gli altri individui: etica sociale.
  3. Con le creature non umane: etica ambientale.

Nell’etica della servitude vengono analizzati temi quali la fede, il timor di Dio, l’affidarsi a Iddio, il perdere la speranza e il ribellarsi a Iddio.

Nell’etica personale vengono trattati attributi come la pazienza, la saggezza, la determinazione e attributi negativi come la fretta e la superficialità.

Nell’etica sociale si parla di temi come la giustizia, essere benevolenti verso gli altri oppure di attributi negativi come la gelosia e l’arroganza.

Nell’etica ambientale infine saranno menzionati i valori che l’essere umano deve coltivare in sé nei suoi legami con la natura (piante, animali, acqua).

Prima di incominciare a trattare i temi etici veri e propri, è necessario menzionare alcune questioni introduttive che normalmente vengono analizzate nella filosofia dell’etica.

Prima di tutto citeremo alcuni assiomi alla base della scienza dell’etica, cioè quei principi che consideriamo dati di fatto, senza dimostrarli.

Gli assiomi della scienza dell’etica

1- L’essere umano possiede il libero arbitrio

Ha senso parlare dell’edificare se stessi, purificarsi e acquisire virtù etiche solo quando accettiamo che l’essere umano è in grado di fare ciò, altrimenti non ha senso parlare di questi argomenti se consideriamo i suoi sforzi inutili da questo punto di vista e che non lo aiutano a raggiungere le virtù etiche e la perfezione. Pertanto se consideriamo l’essere umano una creatura priva di libero arbitrio, non vi è motivo di dirgli cosa fare o cosa non fare.

Il principio del libero arbitrio dell’essere umano è pertanto accettato da praticamente tutte le scuole di pensiero etico, o in modo palese o sottointeso, e lo stesso vale per il sistema etico islamico.

Pertanto prendiamo come dato di fatto che l’essere umano possiede il libero arbitrio; la sua dimostrazione è rimandata al corso di antropologia islamica.

Questo principio è particolarmente importante: infatti se l’essere umano fosse convinto di essere anche solo minimamente costretto nelle sue azioni, nessuno stimolo riuscirebbe a fargli compiere determinate azioni né si sentirebbe responsabile di ciò che compie.

Possiamo in particolare notare che molti individui, per giustificare i propri difetti e la propria negligenza nel cercare di risolverli, li associano a fattori involontari, affermando per esempio che il tal difetto è genetico oppure che lo ha causato l’ambiente in cui ha vissuto, o, nel caso sia un individuo religioso, sostenendo che questo è il volere di Iddio oppure che noi non possiamo fare niente perché è così che le cose sono state predestinate da Iddio. Anche se alcune di queste asserzioni sono vere, se ne trae una conclusione sbagliata.

Infatti è vero che tutto è nelle mani di Dio ed è solo Lui l’Agente indipendente, il Corano stesso afferma che Iddio guida chi vuole, è Iddio che perdona ed è sempre Lui che fa entrare in Paradiso gli individui. Tuttavia questi aspetti vengono sottolineati perché sia chiaro che è Iddio l’Unico Agente Indipendente e tutto il resto dipende da Lui, e viene dimostrato che ciò non è in contrasto con il libero arbitrio dell’essere umano, infatti l’agire di Dio è “in linea” con l’agire umano, non è parallelo ad esso[1].

In ogni caso è chiaro che alcuni individui tentano di giustificare la propria negligenza nel correggere il proprio comportamento e nel migliorarsi dando la colpa a fattori ereditari, l’ambiente in cui sono cresciuti, la storia e così via, e questo perché non vogliono sentire il peso della coscienza che li riprende. Lo stesso dicasi di quei credenti che hanno frainteso il significato della predestinazione divina, quando affermano che quanto succede è volere divino e noi non possiamo o addirittura non dobbiamo fare niente per impedire il susseguirsi degli eventi.

L’Islam e il sacro Corano non negano nessuno dei fattori sopra elencati come l’ereditarietà genetica, l’ambiente in cui si cresce, o altri motivi, tuttavia il libero arbitrio dell’essere umano è considerato il fattore principale e quello che ha la meglio sugli altri e da cui dipende alla fine il compiere o meno di un’azione, pertanto nessun essere umano è costretto a compiere un’azione a causa di questi fattori, essi possono favorire le circostanze che portano a compiere una determinata azione, non formano però quella che in filosofia viene chiamata “causa completa”, è solo la decisione dell’essere umano che lo porta a compiere l’azione in questione, rendendolo pertanto responsabile delle proprie azioni.

È solo sottolineando il libero arbitrio dell’essere umano che si può parlare di valori etici da sviluppare nell’essere umano, di aspetti della perfezione da raggiungere con l’impegno consapevole dell’individuo e considerarlo pertanto responsabile delle proprie azioni.

2- L’essere umano possiede un fine ultimo

Questa affermazione è una diretta conseguenza del libero arbitrio dell’essere umano, infatti egli decide di compiere o non compiere determinate azioni perché ha un fine da raggiungere, e per “fine” intendiamo ciò che l’essere umano consapevolmente sceglie come fine delle proprie azioni, non eventuali risultati che potrebbero comunque conseguire da queste sue azioni.

È possibile che alcune azioni vengano compiute quali preliminari per raggiungere il fine ultimo, per esempio un operaio lavora per guadagnare, ma il guadagno non è il suo fine ultimo, con ciò che guadagna vuole comprare qualcosa con cui alimentarsi e soddisfare il suo appetito; tuttavia alcuni individui non considerano nemmeno questo il loro fine ultimo, ma cercano di guadagnarsi il pane quotidiano per poi poter compiere gli atti di adorazione ed essere al servizio della gente, come raccomanda Iddio.

Quindi l’essere umano possiede un fine ultimo nel compiere le azioni, tuttavia il fine di un individuo potrebbe essere diverso da quello di un altro, oppure potrebbero esserci più fini.

Il fine ultimo secondo il Corano

La maggior parte delle scuole di etica sostiene dunque che l’essere umano abbia un fine ultimo, tuttavia qual è questo fine ultimo? Le risposte sono diverse. Siccome ci occupiamo di etica islamica, ci interessa sapere cosa dice il Corano al riguardo.

Il Corano chiama il fine ultimo dell’essere umano con termini quali beatitudine e felicità, che hanno un valore intrinsecamente positivo, in merito al quale non si può più chiedere: perché cerchi la felicità?

Possiamo notare che il Corano per incoraggiare gli individui a determinate azioni e comportamenti, tra cui quelli corretti da un punto di vista etico, promette loro la felicità e la beatitudine, tuttavia non è mai riportata una motivazione per raggiungere la felicità, quindi anche se il Corano non cita chiaramente la felicità e la beatitudine come fine ultimo dell’essere umano, le considera tali, come abbiamo spiegato.

Cosa intendiamo per felicità e beatitudine?

Anche nella vita terrena possiamo godere di momenti felici, tuttavia la felicità e la beatitudine cui il Corano fa riferimento possiedono almeno due caratteristiche peculiari: sono migliori e sono durature, è per questo che il sacro Corano afferma:

mentre l’Aldilà è migliore e più duraturo” (87:17)

È pertanto un invito a prendere in considerazione la vita ultraterrena, poiché la beatitudine e la felicità in quella vita saranno maggiori e più durature.

Se un individuo vive una vita disgraziata ed infelice, tuttavia ottiene la beatitudine nell’Aldilà, sarà comunque considerato un individuo felice, perché la sofferenza di questo mondo finisce e non è niente in confronto all’infinita beatitudine nell’altro. Se invece una persona gode di tutti i piaceri di questo mondo, anche a costo di mettere in gioco la sua beatitudine nell’Aldilà, non sarà alla fine dei conti considerato un individuo felice, poiché condannato alla dannazione ultraterrena, al cui confronto i piaceri effimeri di questo mondo non sono niente.

Pertanto quando nell’etica islamica si parla di beatitudine s’intende prima di tutto quella eterna ed ultraterrena, poiché maggiore e più duratura.

3- L’essere umano con i suoi sforzi e l’impegno può raggiungere il suo fine ultimo

Se sostenessimo che l’impegno e gli sforzi che l’essere umano compie per raggiungere il suo fine ultimo fossero inutili, non avrebbe ovviamente alcuna motivazione per compiere azioni e fare sforzi.

L’essere umano deve pertanto sapere che qualsiasi sforzo o azione volontaria compia, questa influenzerà in modo positivo o negativo la sua felicità e beatitudine e solo con questo impegno potrà raggiungere la beatitudine. In terzo luogo, deve essere consapevole del fatto che allo stesso modo che le sue azioni non influenzano il raggiungimento della beatitudine di altri, anche le azioni degli altri non possono influenzare, positivamente o negativamente, il suo raggiungimento della felicità eterna.

Alcuni versetti del Corano dimostrano chiaramente queste affermazioni:

Gustate il castigo perpetuo! Vi si paga con qualcosa di diverso da ciò che avete meritato?” (10:52)

Chi si purifica è solo per se stesso” (35:18)

Chi fa il bene lo fa a suo vantaggio, e chi fa il male lo fa a suo danno” (41:46)

Nessuno porterà il peso di un altro. Se qualcuno pesantemente gravato chiederà aiuto per il carico che porta, nessuno potrà alleggerirlo, quand’anche fosse uno dei suoi parenti” (35:18)

Nessuno porterà il fardello di un altro, e invero, l’uomo non ottiene che il frutto dei suoi sforzi, e il suo sforzo gli sarà presentato e gli sarà dato pieno compenso” (53:38-41)

Riguardo al fatto che la beatitudine dell’essere umano è completamente legata alle azioni dello stesso, alcuni ribattono che ciò contraddice il principio dell’intercessione: si afferma infatti che l’essere umano può godere dell’intercessione divina, senza in realtà aver compiuto nessuna azione, quindi le azioni dell’individuo non sono gli unici fattori a influenzare la sua beatitudine. Pertanto i versetti che fanno riferimento all’intercessione divina sarebbero in contrasto con quelli che affermano che l’essere umano otterrà il frutto delle proprie azioni.

In risposta, si può affermare che questa è solo una contraddizione apparente, infatti poter godere dell’intercessione divina non è una possibilità arbitraria e immotivata, bisogna esserne degni, non è dunque vero che l’intercessione non è legata alle nostre azioni volontarie, in realtà è con queste azioni che l’essere umano diventa degno di ricevere l’intercessione divina. Pertanto l’intercessione è invero un’altra conseguenza delle azioni probe dell’individuo.

Similmente può essere argomentato riguardo ai versetti secondo cui alcuni peccati verranno già perdonati in questo mondo (non influenzando quindi la vita ultraterrena), tali peccati non vengono perdonati arbitrariamente ma in seguito a pentimento o altri fattori.

Un’altra questione riguarda il versetto trentotto della sura al-Najm che afferma che coloro i quali sono stati causa di deviazione per gli altri, il Giorno del Giudizio, oltre a portare il fardello dei propri peccati, dovranno portare anche parte di quello di coloro che hanno deviato. La spiegazione è che la deviazione di altri individui è una conseguenza della loro azione, perciò è ovvio che essi debbano portare anche parte di quel carico, il resto sarà portato dalla persona che è stata deviata, che è comunque responsabile della propria deviazione.

In cosa differisce il sistema etico islamico dalle altre scuole di etica?

Abbiamo quindi affermato che la maggior parte delle scuole di pensiero etico, se non tutte, si fondano su tre assiomi:

  1. L’essere umano possiede il libero arbitrio
  2. L’essere umano compiendo delle azioni volontarie persegue un fine che ha di per sé valore
  3. Sono queste azioni volontarie che permettono all’individuo di raggiungere o allontanarsi da questo fine

Pertanto da questo punto di vista l’etica islamica non differisce dalle altre scuole di etica.

In quali aspetti differisce allora?

Innanzitutto, è abbastanza chiaro che la maggior parte delle scuole di pensiero etico non differiscono tanto nei concetti, quanto nei referenti. Perciò tutti sono d’accordo che l’essere umano ha come proprio fine la felicità e la beatitudine, ma cosa sono veramente la felicità e la beatitudine? È qui che le risposte differiscono e la soluzione è resa ancora più difficile dal fatto che esse non sono degli oggetti né qualcosa di tangibile e neppure un particolare tipo di stato d’animo da poter essere definite con facilità.

Quale sia il referente di felicità e beatitudine dipende in particolare dalla visione dell’universo che è alla base di ogni scuola di pensiero etico. Quindi una scuola fondata su una visione materialistica dell’universo inviterà alla ricerca della felicità in questa vita terrena.

Sappiamo che secondo la visione islamica dell’universo la vita in questo mondo è solo un terreno di preparazione per la vita ultraterrena, che sarà infinita, perciò la vera felicità e beatitudine sono quelle che si otterranno nell’Aldilà, perché, come abbiamo già spiegato, sono maggiori e più durature.

Questo non significa che l’Islam incoraggi a trascurare la vita terrena, bensì invita a considerarla come un ponte e un terreno di preparazione per la vita eterna.

Un’altra differenza tra l’etica islamica e le altre scuole di etica riguarda il metodo per giungere al fine o alla felicità, tutti concordano infatti che ciò che ci avvicina al nostro fine, la felicità e la beatitudine, è bene, ma vi sono opinioni discordanti per quanto concerne ciò che ci permetterà di raggiungere la nostra meta.

La risposta a questa domanda diventa ancora più complessa soprattutto se consideriamo che tutti gli aspetti e le dimensioni della vita di un essere umano sono legati fra di loro, quindi per poter valutare se un’azione porta beneficio o danno alla persona, bisogna conoscere gli effetti che essa avrà su tutte le dimensioni dell’essere umano, sia sulla sua vita personale che sociale, terrena e ultraterrena. È ovvio che l’essere umano non possiede una conoscenza globale di tutti questi aspetti, ed è per questo che nell’etica islamica si fa riferimento alla rivelazione divina.

[1] Questo tema verrà approfondito nel corso di Teologia Comparata.